Un cane speciale

da  “Va’ dove ti  porta il cuore” di  Susanna Tamaro

Ricordi? Abbiamo discusso a lungo, alla fine ci siamo messe d’accordo per un cane.
La notte prima di andare a prenderlo non hai chiuso occhio. Ogni mezz’ora bussavi alla mia porta e dicevi : “Non riesco a dormire”.
La mattina alle sette avevi già fatto colazione, ti eri vestita e lavata; con il cappotto addosso mi aspettavi seduta in poltrona. Alle otto e mezza eravamo davanti all’ingresso del canile, era ancora chiuso. Tu guardando tra le grate dicevi: “Come saprò qual è proprio il mio?” C’era una grande ansia nella tua voce. Io ti rassicuravo, non preoccuparti, dicevo.
Siamo tornate al canile per tre giorni di seguito. C’erano più di duecento cani là dentro e tu volevi vederli tutti. Ti fermavi davanti ad ogni gabbia, stavi lì immobile assorta in un’apparente indifferenza. I cani intanto si buttavano tutti contro la rete, abbaiavano, facevano salti, con le zampe cercavano di divellere le maglie.
Assieme a noi c’era l’addetta del canile. credendoti una ragazzina come tutte le altre, per invogliarti ti mostrava gli esemplari più belli: “Guarda quel cocker”, diceva. Oppure: “Che te ne pare di quel lassie?”. Per tutta risposta emettevi una specie di grugnito e procedevi senza ascoltarla.
Buck l’abbiamo incontrato al terzo giorno di quella via crucis. Stava in uno dei box sul retro, quelli dove venivano alloggiati i cani convalescenti. Quando siamo arrivate davanti alla grata, invece di correrci incontro assieme a tutti gli altri, è rimasto seduto al suo posto senza neanche alzare la testa. “Quello”, hai esclamato tu indicandolo con un dito. “Voglio quel cane lì”. Ti ricordi la faccia esterrefatta della donna? Non riusciva a capire come tu volessi entrare in possesso di quel botolo orrendo. Già perché Buck era piccolo di taglia ma nella sua piccolezza racchiudeva quasi tutte le razze del mondo. La testa da lupo, le orecchie morbide e basse da cane da caccia, le zampe slanciate quanto quelle di un bassotto, la coda spumeggiante di un volpino e il manto nero focato di un dobermann.
Quando siamo andate negli uffici per firmare le carte, l’impiegata ci ha raccontato la sua storia: era stato lanciato da un’auto in corsa all’inizio dell’estate. Nel volo si era ferito gravemente e per questo motivo una delle zampe posteriori pendeva come morta.
Buck adesso è qui al mio fianco. Mentre scrivo ogni tanto sospira e avvicina la punta del naso  alla mia gamba. Il muso e le orecchie sono diventati ormai quasi bianchi e sugli occhi, da qualche tempo gli si è posato quel velo che sempre si posa sugli occhi dei cani vecchi. Mi commuovo a guardarlo. E’ come se qui accanto ci fosse una parte di te, la parte che più amo, quella che tanti anni fa, tra i duecento ospiti del ricovero, ha saputo scegliere il più infelice e brutto.
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